Carabinieri

Caso Vannini, il ministro Trenta: «Il brigadiere dei carabinieri deve parlare. Ho provato a chiamarlo ma non risponde»

«Il carabiniere vada a dire tutto quello che sa all’autorità giudiziaria». Chiaro l’invito di Elisabetta Trenta, ministro della Difesa, al brigadiere capo Manlio Amadori, in servizio in caserma a Ladispoli la sera della tragedia di Marco Vannini.

Nei giorni scorsi il militare aveva detto di non poter rilasciare dichiarazioni sul caso se non autorizzato dal comando dell’arma. Oltre all’appello lanciato dai genitori del povero ragazzo di Cerveteri, ucciso in casa della fidanzata il 17 maggio del 2015, si era aggiunta una petizione popolare che ha raggiunto più di 10mila firme per spingere il ministro a far parlare Amadori.

IL TENTATIVO
«Non occorrono autorizzazioni. Ho provato a chiamare il carabiniere su due numeri di telefono ma non risponde. Credo che chiunque sappia qualcosa in più sulla vicenda debba parlare», ribadisce Elisabetta Trenta in tv nel programma Accordi&Disaccordi. Le parole pronunciate dal ministro entrano in casa Vannini.

«Noi siamo grati a tutti i politici che sono intervenuti. Se qualche carabiniere è a conoscenza di qualcosa parli, e si metta a disposizione della magistratura. Oltre a fare il suo dovere civico, è tutelato dallo Stato, come ha detto anche Trenta», sostiene Valerio Vannini, il padre della vittima. I genitori di Marco sono ancora alla ricerca della verità dopo quasi 4 anni dall’omicidio di via De Gasperi. «Solo Marco sapeva la verità, e i Ciontoli hanno fatto del tutto affinché morisse in modo che non la potesse rivelare. Non sappiamo più cosa dire, speriamo nella Cassazione».

Un ministro tira l’altro. «Salvini mi ha chiamato». Marina Conte, la madre del giovane ucciso a 20 anni, conferma la telefonata con il vicepremier all’indomani del doppio ricorso dei Ciontoli presentato alla Cassazione. «Troppi 5 anni» di condanna al sottufficiale della Marina e dei servizi segreti per i legali della difesa, Andrea Miroli e Pietro Messina. La notizia però ha mandato su tutte le furie il ministro dell’Interno.

LA VICINANZA
«Matteo Salvini ci ha espresso la sua solidarietà e vicinanza come aveva fatto il guardasigilli Alfonso Bonafede con il quale ci siamo già visti. Anche Di Battista del Cinque Stelle è venuto a Cerveteri. Tralasciando i colori politici, la storia di Marco ha indignato tutti quanti. Vogliamo giustizia per nostro figlio e non ci stancheremo mai di lottare», sostiene mamma Marina. Salvini durante i comizi elettorali che si sono svolti di recente a Tarquinia e Civitavecchia, ha ribadito: «Non faccio il magistrato, posso esprimere il mio sostegno ad una famiglia e dire che è una vergogna che la vita di un ragazzo di 20 anni ucciso in una maniera vigliacca e infame costi 5 anni di carcere. Che poi fra indulti, sconti di pena e buona condotta significa la metà. Non puoi ammazzare un ragazzo con la complicità dei familiari, oltretutto indossando una divisa. La sentenza mi fa schifo», ha gridato sul palco Salvini. Botta e risposta con gli avvocati di Ciontoli: «Salvini ha queste uscite pubbliche per la smania di emergere», scrivono in una nota Miroli e Messina.

a cura di Emanuele Rossi per il Gazzettino

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